Moda come architettura, Architettura come seconda pelle
Anatomie simultaneamente eclettiche e minimali delineano il dinamismo ideologico e stilistico di Irina Dzhus. Concettualmente propensa all’innovazione concreta ed efficiente, pensata con logica, coscienza e solidarietà etica, ancora una volta la designer ucraina si diversifica ed emerge da uno scenario al contrario complessivamente speculativo e consumistico; la collezione per la prossima stagione, infatti, incarna perfettamente i princìpi sui quali il marchio pone le fondamenta.
Scelte sostenibili e sperimentazioni tecnologiche dei materiali (come l’isolamento ecologico della canapa progettato da DevoHome) sono solo la base di un design d’avanguardia e senza compromessi. Pezzi unici, tagli netti, linee pulite, trame ritmiche e dettagli apparentemente imperfetti, ma per questo unici, raccontano di un modello estetico differente, austero e industriale, decisamente non convenzionale; lontano dai monotoni e banali cliché di bellezza femminile, il suo gusto si orienta invece sul senso del puro design in sé, raccogliendo il consenso di architetti, artisti, fotografi e anticonformisti in generale.
Secondo la Dzhus, corporeo non è opposto di spirituale, piuttosto un tramite necessario e insostituibile per esplorare e comprendere il nostro più profondo ego. Le sue creazioni traducono materialmente una singolarità interiore non riproducibile, come negazione della cosiddetta “moda veloce”, sinonimo di inquinamento e sfruttamento. Ne consegue la personificazione di una donna intellettuale, inarrestabile ed autentica, che non sente il bisogno di inseguire consensi sterili ed utopie altrui, ma è costantemente alla ricerca del perfetto involucro per il proprio personalissimo mondo nascosto.
Lo stile essenziale e geometrico, a tratti futuristico, accentua la sinergia e la versatilità degli elementi, che si manifestano in costruzioni abitabili pratiche e multifunzionali. I capi sono delle vere e proprie architetture mobili: gusci protettivi ispirati alla natura e dedicati all’ambiente, in cui coesistono coerentemente antipodi visivi e lineari come bianco e nero, spigoli e curve, drappeggi e plissé, pieni e vuoti; esoscheletri scomponibili che interagiscono reinventandosi l’un l’altro ed assumendo sembianze di volta in volta diverse.
Se troppo spesso il concetto di sostenibile è stato associato ad aggettivi come incolore e noioso, adesso il termine cambia completamente la sua accezione. L’approccio stilistico di Irina, pur essendo basilare e ponderato, non limita l’esperienza espressiva ma anzi la arricchisce, perché è combinando le infinite variabili di cui disponiamo che si generano infinite possibilità di esistenza.
Sara Carpiniello