Trascendendo i limiti tra arte e moda, la designer ucraina Irina Dzhus con la collezione FW20 MISCONCEPT ironizza i must-have della moda.
Sostenendo che «quella che è considerata la parte sbagliata nasconde sempre un enorme potenziale utilitaristico», la Dzhus reinventa in modo radicale e al contempo versatile l’abbigliamento femminile.
Le proposte invernali di DZHUS si fondano su principi estremamente innovativi e improntati sull’ecosostenibilità, prestando particolare attenzione alla manifattura eticamente corretta attraverso l’uso di materiali cruelty-free e attraverso l’utilizzo di tessuti eco-friendly.
Grazie alla visione della stilista, i capi riescono a svincolarsi dal loro monouso comune ed attraverso una vera e propria trasformazione riescono a cambiare, ampliando e moltiplicando le loro possibilità d’uso.
Ed è così che una shopper bag può mutare fino a divenire una gonna. Così come dei pantaloncini, con tanto di bretelle, possono diventare una capiente borsa quadrata.
La Dzhus da sempre ridefinisce il significato di sperimentalismo, avvicinandosi ad una clientela anticonformista nemica dell’omologazione che tristemente caratterizza la società odierna. Le sue creazioni non sono semplicemente abiti ma vere e proprie sculture che nascono da elementi semplici che vengono concepiti in maniera sempre diversa e nuova.
La sfilata DZHUS AW20 trasmette perfettamente lo sperimentalismo di Irina attraverso una vera e propria performance artistica: backstage si apre agli ospiti, rendendoli partecipi in prima persona degli ultimi ritocchi che precedono l’entrata delle modelle sulla passerella.
Grazie alle sue creazioni autentiche ed innovative, DZHUS fa parte di quei brand che riescono ad emergere e a farsi riconoscere in uno dei settori più sovrappopolati del mercato. I capi firmai Irina Dzhus sono in continua evoluzione, ogni elemento viene reinventato per ideare soluzioni creative che vanno contro il sovraconsumo, dando al cliente la possibilità di plasmare la propria armatura attraverso capi dalla struttura poliedrica.
Chiara Gandini