Julia Heuer presenta una collezione controcorrente e borderline
La follia è ancora oggi un mistero. La pazzia è uno dei temi che rappresenta un tabù, qualcosa di dissacrante di cui non si parla, qualcosa di estremo che ci fa paura.
Si parla di follia dall’alba dei tempi: Erasmo da Rotterdam ne parlava nel suo Elogio della Follia; Ludovico Ariosto ne L’Orlando Furioso; Pirandello considera questo uno dei temi centrali di tante sue opere, da Il fu Mattia Pascal a Uno, Nessuno e Centomila, ma anche Svevo, che a sua volta si rifà agli scritti di Freud e Joyce.
Tutti hanno sempre parlato di matti e di manicomi, ma ancora oggi sappiamo ben poco di questa realtà.
E quello che sappiamo è che la pazzia può essere una cosa meravigliosa, esattamente come Julia Heuer dimostra presentandoci una collezione fantasiosa, divertente e, allo stesso tempo, estremamente malinconica.
È la storia di una donna sulla soglia dei settant’anni che rimane sola, dopo aver sepolto due mariti e dopo aver accettato di essere troppo di peso per figli e nipoti molto presi da loro stessi.
Grazie alla direzione artistica di Kris Lemsalu e alla fotografia di Edith Karlson, Julia Heuer ci presenta così la sua nuova collezione, che si basa soprattutto sulla tecnica pittorica giapponese dell’Arashi Shibori.
Questa raccolta è un’overdose di vita, un insieme di colori ed emozioni che solo la pazzia può spiegare.
Siamo in un paesino dell’Estonia e la casa in cui ci troviamo ospita due donne, una giovane ed una più anziana. Le donne sono spontanee, comodamente avvolte dai plissé delle loro maglie e dei loro abiti, illuminate dalle rappresentazioni che questi indumenti manifestano. Siamo all’interno di una cucina, in un salotto, di fronte ad un frigorifero o su di una sdraio in giardino. O forse non siamo in nessuno di questi luoghi, o meglio, lo sono solo le nostre menti.
Le due donne ridono, si divertono, guardano dritte nell’obbiettivo, vivono la loro quotidianità in modo folle, col viso cosparso di un cerone bianco che le rende un po’ comiche ed un po’ tristi, un po’ forti e un po’ deboli. Questa atmosfera tutta al femminile ci rimanda a Charlotte Bronte e alla sua Jane Eyre, dove si parla della pazzia anche attraverso risate demoniache che fanno battere il cuore, che fanno sobbalzare sul letto, ma che creano, comunque, conforto e tengono compagnia.
Regna confusione e caos, nessuno conosce più la propria identità: non si sa più chi è la nonna e chi è la giovane donna, non si sa più chi si è, da dove si viene e cosa si fa su questa Terra. Così si combatte dunque la pazzia più nera: non si sta più prigionieri in un manicomio legati alle camicie di forza ma si colora tutto. A partire dagli indumenti che indossiamo si arriva a colorare anche il cielo.
Gli abiti sono il manifesto di questa follia: macchie di colore sulle camicie, completi rigati di un giallo e arancione infuocati, maglie e pantaloni che rappresentano storie vissute, paesaggi forse mai visti e geometrie spaziali, abbinate alla spregiudicata creatività che si può solo trovare in un manicomio.
Questo palcoscenico che somiglia ad un ospedale psichiatrico, dove i suoi ospiti trovano leggerezza solo alla luce del Sole, è il risultato della vita di tutti noi.
Julia Heuer rivendica il diritto alla follia e con questa collezione celebra la creatività dalla quale nessuno può prescindere.
Nessuno è normale, la normalità non esiste: noi siamo il frutto di quello che sentiamo, siamo il frutto di quello che abbiamo vissuto e saremo solo un insieme di insana follia che nasce dai sentimenti e dalle emozioni, dalla genialità e dalla più disarmante semplicità.
Luca Pietro Chiesa