Lo styling oggi: tra creatività, identità e strategia

by Micaela Morganelli

Nel mondo della moda, l’immagine è tutto, ma chi c’è dietro le scelte stilistiche che definiscono il look di celebrity, brand e campagne editoriali? Lo stylist è una figura chiave, un narratore visivo che traduce personalità e identità in abiti e accessori, creando un linguaggio estetico capace di comunicare senza parole.

Oggi il ruolo dello stylist si evolve costantemente, tra nuove tendenze, digitalizzazione e la necessità di distinguersi in un settore sempre più competitivo. Quali sono le competenze essenziali? Quanto conta il rapporto con i brand? E come si bilancia la creatività con le esigenze commerciali?

Ne parliamo con Cosmo Muccino Amatulli, professionista dello styling che ci offre uno sguardo approfondito su questo mondo affascinante, tra minimalismo, storytelling visivo e il futuro della professione.

Come definiresti il ruolo di uno stylist oggi? Quali sono le competenze essenziali? 

Lo stylist, oggi più che mai, è molto più di un semplice esperto di moda: è una figura professionale capace di creare estrema fiducia e instaurare un rapporto di collaborazione autentico con il cliente, riuscendo a trovare la giusta mediazione tra immagine e personalità. 

Se prendiamo in considerazione il mondo del celebrity styling, il ruolo assume una connotazione ancora più raffinata: interpretare la personalità pubblica significa tradurla in un’immagine coerente e distintiva, capace di comunicare senza bisogno di parole. Ogni scelta diventa parte di una narrazione visiva che rafforza il legame tra chi la indossa e il pubblico. Capacità di ascolto ed empatia sono competenze essenziali, poiché permettono di entrare in sintonia con il cliente – o il talent – e non può assolutamente mancare una profonda conoscenza del settore, che parta dalle radici storiche e arrivi alle tendenze attuali. 

 Quanto è importante il rapporto tra stylist e brand nel costruire un’immagine coerente? 

È fondamentale! Uno degli ostacoli più grandi in questo rapporto è dato dal continuo alternarsi di professionisti, che rende difficile la costruzione di un percorso conoscitivo completo del brand e della sua filosofia. La continuità quindi non è solo un valore aggiunto, ma un elemento basilare per la creazione di un’identità solida e autentica. 

Qual è la tua filosofia quando lavori su un editoriale o una campagna? Preferisci seguire le tendenze o creare uno stile distintivo? 

La mia filosofia asseconda il mio gusto e si basa sull’interpretazione personale e sulla ricerca di un’identità visiva unica, che eviti di riprodurre qualcosa di già visto. Seguo una mia visione creativa e la propongo al brand e/o al cliente, con l’obiettivo di dare vita a immagini che lascino il segno. Se negli editoriali tendo a lasciare massimo spazio all’espressione artistica attraverso uno stile distintivo, per le campagne pubblicitarie, il cui impatto commerciale deve essere efficace, è necessario creare immagini in linea con la moda del momento. Questo però non toglie che tendenze e stile distintivo possano coesistere, consentendo di far mantenere al brand quegli elementi che lo rendono riconoscibile e inconfondibile sul mercato. E se dovessi scegliere, sarei più propenso per il secondo. 

Il lavoro dello stylist richiede molta visibilità, e infatti hai lanciato sui social la tua rubrica “Lo sapevi che” in cui dispensi curiosità sul mondo della moda. Come mai hai voluto trattare il concetto della moda offline? 

Questo è un tema attuale e profondamente legato al mio modo di vivere e affrontare i social. Si tratta di una riflessione che sento mia, una sorta di ambizione personale, nonostante io stesso sia costantemente connesso. Al giorno d’oggi c’è una tendenza pericolosa, ovvero quella di affidare qualsiasi riconoscimento, sensazione o conoscenza a un’immagine, spesso alterata. Questo meccanismo si riflette anche nella mia vita privata, dove vedo un abuso dell’apparenza. Ed è per questo che, pur essendo io stesso un creatore di immagine, cerco sempre di farlo in modo costruttivo. Questa direzione ci sta portando verso una forma di alienazione, e non posso che ammirare chi riesce a mantenere un forte impatto sociale e commerciale senza esserne dipendente. Bottega Veneta è l’esempio perfetto: un brand che ha scelto di affidarsi completamente al proprio potenziale senza incentivare la presenza online. 

Bottega Veneta ha scelto di uscire dai social media, lasciando che siano fan e ambassador a raccontare il brand. Pensi che questa strategia possa funzionare anche per gli stylist? 

Assolutamente no! Il nostro è un mondo estremamente competitivo, immagine e comunicazione sono elementi fondamentali per una figura professionale come quella dello stylist. Occorre essere in grado di saper comunicare in modo efficace, trasmettendo un messaggio chiaro e distintivo. Tuttavia è importante tenere presente che ogni individuo interpreta le immagini in base alla propria percezione e sensibilità, e che inevitabilmente il messaggio voluto dal creatore potrebbe non emergere in modo diretto o immediato. 

Il minimalismo è spesso sinonimo di lusso discreto. Come si traduce questo concetto nello styling? 

Il minimalismo è un concetto affascinante che rispecchia la mia filosofia professionale, anche se è spesso considerato borderline. In un mondo in cui lo stylist è chiamato a far emergere brand o personalità, è facile cadere nella tentazione di attuare scelte stilistiche più complesse e strutturate. Nel mio approccio il focus è sull’essenziale, sul valorizzare il brand senza appesantirlo. Si tratta dunque di liberarsi dal superfluo, di affinare la comunicazione visiva senza far perdere nulla al messaggio, di creare un look che parli in modo chiaro e diretto. Bisogna però aggiungere però che il minimalismo stilistico funziona perfettamente per chi ha una personalità, appunto, minimalista. Diventa una sfida più grande quando si lavora con chi ha bisogno di comunicare un messaggio più potente e visibile, come può verificarsi nel caso di un rapper. In ogni caso, l’outfit creato dallo stylist deve essere sempre in armonia con il progetto e la visione del cliente. 

L’assenza di logo visibile di Bottega Veneta è una dichiarazione di stile. Quanto conta il branding nei tuoi lavori? 

Il branding ha un peso significativo nella società di oggi, anche se il consumatore sembra essere meno interessato a ostentare il prezzo di ciò che indossa. Ma nel mondo editoriale e nei magazine resta un elemento fondamentale, ed è quindi essenziale che mi adatti ai contesti e alle situazioni specifiche, trovando un equilibrio tra la sua essenza e le esigenze del progetto editoriale. 

Il successo di Bottega Veneta dimostra che non è necessario essere sempre online per essere rilevanti. Pensi che questo approccio possa influenzare il mondo dello styling e della comunicazione di moda? 

Più che influenzare, la scelta di un brand racconta e definisce una forte identità. Non aver bisogno di gestire direttamente la diffusione delle proprie immagini tramite un social media manager è la prova di una sicurezza solida e indiscutibile. Non a caso Bottega Veneta è uno dei più affermati brand nel panorama internazionale. La vera influenza si manifesta quando la società si allontana sempre più dal desiderio di un accessorio mono-logo che parli solo per sé, volgendo invece verso una direzione differente e talvolta sostenibile, dove il consumatore è portato a valorizzare il riutilizzo di capi vintage o l’upcycling. 

Oggi lo storytelling visivo è fondamentale. Secondo te, il lavoro di uno stylist deve adattarsi a questo nuovo modo di raccontare la moda? 

Assolutamente sì. Oggi lo storytelling visivo è essenziale, e il lavoro di uno stylist deve adattarsi perfettamente a questo modo di raccontare la moda. Ogni elemento deve essere pensato per trasmettere un messaggio chiaro, lavorando in modo simbiotico e sinergico con tutto il team al fine di una narrazione completa e coerente. 

In un’epoca dominata dai social media, dove l’immagine è tutto, come si fa a mantenere un’identità forte e autentica?

Credendo in sé stessi e in ciò che si vuole davvero trasmettere. Questo vale tanto per un brand quanto per una persona. Insomma, chi mi ama mi segua. L’identità va preservata senza snaturarla: nel momento in cui si cerca di alterare la realtà per adattarsi alle aspettative, si perde automaticamente l’autenticità di ciò che creiamo e comunichiamo. 

Qual è la tua visione per il futuro dello styling? Vedi cambiamenti nel modo in cui il pubblico percepisce la moda e gli stylist? 

Il futuro dello styling sta diventando sempre più centrale nel panorama della moda, ma c’è un rischio concreto di approssimazione che rischia di sminuire il valore di un lavoro costruito nel tempo, attraverso ricerca e passione. Questo fenomeno sta progressivamente banalizzando una professione che affonda le sue radici nella tradizione storica, come quella del sarto, un artigiano capace di valorizzare l’immagine e il prestigio sociale. Oggi assistiamo a una forte tendenza verso la brandizzazione e il total look, con molte realtà esterne al settore che cercano di appropriarsi di un lavoro che richiede formazione continua, creatività e un’attenzione maniacale ai dettagli, offrendo servizi che non hanno nulla a che fare con lo styling. Quindi sì, il cambiamento c’è, ed è profondo e veloce. Viviamo in un’epoca in cui chiunque può definirsi stylist, semplicemente combinando un jeans e una camicia. Ma la vera sfida non è solo la concorrenza – spesso estrema, ma priva di conoscenza e competenza – bensì la difficoltà di preservare il valore autentico dello styling in un panorama in cui anche agenzie non specializzate offrono questi servizi gratuitamente, sminuendo significato e importanza di una professione che richiede esperienza, competenza e dedizione.