Gli Igloos di Mario Merz invadono l’Hangar Bicocca di Milano, ed è magia
La mostra di Mario Merz, ospitata presso gli spazi dell’HangarBicocca di Milano, non delude e non lo fa neanche l’estrema cura con cui Vincente Todolì ci presenta i suoi Igloos. Oltre trenta magnifici esemplari si espandono negli spazi delle Navate e nel Cubo di Pirelli ponendo il visitatore al centro di un percorso che appare come una costellazione di “capannoni” dal grandissimo impatto visivo. Siamo trasportati nell’universo di Mario Merz e nel meraviglioso periodo storico che vede la fine degli anni 60 come un periodo di grande innovazione per l’arte che si avvicina sempre di più al concettuale, smaterializzandosi e perdendo il “peso” di mera rappresentazione oggettiva per diventare leggera e ideale.
Mario Merz (Milano 1925- 2003) è tra gli artisti più rilevanti del panorama del secondo dopoguerra, iconico e unico come le sue opere che prendono forma a partire dal 1968.
Sono trascorsi cinquant’anni dalla creazione del primo esemplare igloo, ma ancora oggi l’attualità della struttura e tutto ciò che ne deriva dall’osservazione e dall’interpretazione influenza il pensiero di critica e profani.
Queste opere sono strutture protettive, simili a rifugi magici. Prendono forma partendo dai materiali più poveri di uso comune: argilla, pietre, acciaio e vetro che incastrati tra loro creano la base materica per le magnifiche opere di Merz, il quale non si limita a plasmare questi materiali ma li sconvolge, utilizzando elementi e scritte al neon che li trapassano e li trasformano in qualcosa di unico. La precarietà di queste installazioni assume una valenza simbolica e poetica aprendo una riflessione dell’artista sulla vita contemporanea e la sua precarietà. Queste strutture sono instabili proprio come i nostri giorni.
Tra le navate il percorso espositivo è scandito da una serie di numeri al neon I numeri di Fibonacci, 2002, che si estendono per tutta la lunghezza del carroponte creando un dialogo con l’architettura dell’Hangar. Gli igloo si sviluppano in ordine cronologico, partendo dai primi esemplari concepiti negli anni 60 (Igloo di Giap, Acqua scivola) per arrivare a quelli degli anni 70 tra cui lo splendido Igloo di Marisa dedicato alla moglie. Si prosegue con gli anni 80 per arrivare infine al 1992 e ai 74 gradini riappaiono in una crescita geometrica concentrica, opera in cui otto igloo formati da tondini metallici si intersecano a blocchi di pietra che connettono elementi naturali con artificiali.
Le opere di Mario Merz possono essere riconducibili all’Arte Povera, movimento che proprio a partire dalla fine degli anni 60, sotto l’ala protettiva di Germano Celant, nasce in polemica con l’arte tradizionale della quale rifiuta tecniche e supporti, per fare ricorso a materiali “poveri” riconducibili alle forze primordiali della natura. L’intento è quel di evocare la primordialità e le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea corrodendo abitudini e conformismi semantici. L’arte è concepita come qualcosa di tangibile e reale, riproducibile e distante da tutto un ideale di trascendenza e unicità. Le installazioni sono alla base dell’Arte Povera e dello stesso Mario Merz che utilizza appunto queste strutture come istallazioni che superando la bidimensionalità del quadro indagano la vita umana, riportando l’arte ad una dimensione primaria.
Gli Igloos di Mario Merz ci appaiono come abitazioni, luoghi in cui voler stare per riflettere e prenderci un momento di pausa dai problemi. Sono zen e in contrasto con la realtà per questo ci verrebbe voglia di starci dentro.
Flavia Annechini