La musica è da sempre un fedele alleato dell’uomo, in ogni circostanza ed a seconda dello stato d’animo, ci aiuta ad affrontare la vita quotidiana con più leggerezza.
Molto spesso, però, si tende a sottovalutare il forte impatto che l’industria musicale ha sul nostro pianeta. Nello studio “the cost of music” dell’Università di Glasgow in collaborazione con l’Università di Oslo, si analizza l’impatto dell’industria musicale, sia dal punto di vista economico che ambientale. Il primo fa emergere come lo streaming abbia reso molto più semplice la fruibilità della musica, democratizzandola; il secondo invece, si propone di analizzare il consumo di plastica avvenuto nel corso degli anni con le pubblicazioni in formati fisici.
Anche se i formati fisici sembrano appartenere al passato, oggigiorno gli artisti pubblicano ancora CD e vinili. Questi formati sono molto inquinanti: i vinili ad esempio contengono 135 grammi di PVC, una resina termoplastica con un’impronta di 0,5 kg di CO2, un materiale che è solo parzialmente riutilizzabile per via degli alti costi di produzioni. D’altro canto i CD, composti da policarbonato ed alluminio, non vengono riciclati perché misture di materiali difficili da separare e perchè la loro lavorazione, comporterebbe una dispersione ingente di sostanze tossiche nell’ambiente.
L’arrivo della tecnologia e dello streaming, però, non deve farci pensare che il mondo musicale abbia attuato una svolta green per il Pianeta. Legato all’universo dello streaming c’è un grande consumo energetico, in quanto per poter garantire la riproduzione continua è necessario un supporto materiale, ovvero un data center. Si parla di centri di diverse migliaia di metri quadri, dove vengono stipati decine di centinaia di computer, perennemente collegati alla corrente elettrica.
“Vediamo la sensibilizzazione sui risultati come un primo passo verso lo sviluppo di alternative, in cui il consumo di musica può diventare economicamente sostenibile per i produttori e allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista ambientale per il pianeta” ha spiegato il Dott. Matt Brennan, accademico e musicista.
Anche i concerti rappresentano una fetta enorme legata all’inquinamento apportato dall’industria musicale: se si considera che un singolo concerto genera tra i 2 e 10kg di CO2 per spettatore, si arrivano a calcolare numeri allarmanti. Si deve tenere conto anche delle emissioni prodotte dallo spostamento delle attrezzature, le tonnellate di rifiuti che vengono abbandonati e l’ingente consumo di energia che viene prodotto durante lo spettacolo.
Un passo verso la sensibilizzazione l’ha fatto nel marzo 2022, l’Associazione dei Produttori Musicali Indipendenti PMI, con la collaborazione di IMPALA e Rockol, realizzando il Manifesto della musica sostenibile. Tra gli obiettivi del Manifesto c’è sicuramente l’organizzazione di eventi ed iniziative che siano dirette a ridurre l’impatto ambientale dell’intero settore, utilizzando la musica come vettore per sollecitare condotte green.
Si apre dunque, un dialogo con le istituzioni nazionali e locali, per promuovere iniziative propedeutiche alla sostenibilità, proponendo la formazione di un “sustainability manager”, come supporto fondamentale per analizzare e creare strategie aziendali più indirizzate verso il green.
Il decalogo, realizzato da un team di professionisti guidato da Francesca Trainini (Chair di Impala e VicePresident di PMI), è stato presentato in occasione della 72° edizione del Festival di Sanremo a Casa SIAE durante il panel Musica Sostenibile.
Francesca Ciaccia